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Quel bollito che nasce da Galileo E il vino Doc dei Colli Euganei Tradizioni padovane a tavola


Dalla pasta fresca alla «Pazientina», il dolce tipico delle pasticcerie Calici alzati per brindare tra il bianco Serprino e i rossi «vulcanici»

Risotto ricco alla padovana, Gallina in canevera e Pazientina. Nel menù che ha suggellato il passaggio della campana all’Accademia italiana della cucina di Padova, c’erano tre piatti che l’istituzione fondata dal giornalista del Corriere della Sera Orio Vergani nel 1953 a Milano ha provveduto a registrare dal notaio. Sono tre preparazioni tipiche di quella tradizione gastronomica padovana che l’Accademia ricerca, valorizza e poi cerca di divulgare. Il passaggio della campana è il tradizionale rito in cui il nuovo delegato, cioè il rappresentante territoriale dell’Accademia, si presenta ai soci e alle autorità, in primis al sindaco Sergio Giordani, presente alla cerimonia, dopo l’investitura formale del presidente nazionale. All’inizio del mese l’imprenditore Piero Dal Bello ha raccolto il testimone da Edmondo Matter, che aveva fondato la delegazione di Padova esattamente 60 anni fa, nell’ottobre 1961. «Padova ha una tradizione gastronomica di tutto rispetto», chiarisce il neodelegato, presidente della Dal Bello S.i.f.e., azienda di import export di frutta e verdura. «Protagonista di un piatto della cucina padovana è la carne ma non quella dei tagli pregiati. A Padova nelle case, quando c’era la possibilità di mangiare carne, si privilegiava la corte, cioè gli animali che crescevano vicino a casa. Si tratta di gallo o di cappone, ma anche di tacchino, faraona, anatra, oca. Senza dimenticare il pollastro, la gallina, ma anche il coniglio e il piccione o, meglio, il torresano». Nel periodo che precede il Natale è d’obbligo nelle case e nei ristoranti padovani proporre il bollito, un pranzo o una cena con i tagli delle carni come gallina, manzo, testina di vitello, lingua salmistrata, gambuccio del prosciutto. C’è chi aggiunge altre carni come anatra, faraona, oca, cappone, piedini di maiale. Il «Gran bollito alla padovana» originale è firmato nientemento che da Galileo Galilei, di cui ci è stata tramandata la lista della spesa scritta in occasione di una visita da un «beccaio» (macellaio) nel gennaio 1605. Galileo, scienziato moderno che visse e insegnò a Padova per quasi vent’anni, era un grandissimo buongustaio e la carne era uno dei suoi piatti preferiti. Oggi, se fosse vivo, sarebbe spesso seduto a un tavolo del ristorante Da Giovanni, famoso per i bolliti, o, fuori Padova, sui Colli Euganei, alla Montanella di Arquà Petrarca.

Ma torniamo ai piatti della tradizione, le cui preparazioni sono state depositate dalla delegazione di Padova dell’Accademia della cucina. Il Risotto ricco alla padovana prevede che nel riso ci siano pezzetti di carne di pollo, tac

Presìdi

I due delegati dell’Accademia della cucina difendono e valorizzano ricette e preparazioni

maiale, salsiccia, durelli e fegatini, sempre di pollo. La Gallina in canevera, invece, è un altro piatto della tradizione, che prevede mezza gallina padovana o di Polverara, oltre a cipolla, sedano, una mela Granny smith e tante spezie, come alloro, pepe nero, ginepro e cannella. La ricetta vuole che si cucini nella vescica di maiale, da chiedere, ovviamente, al proprio macellaio di fiducia. Era un piatto che si preparava dopo l’uccisione del maiale, di cui, com’è noto, non si butta via niente. Il nome canevèra deriva dalla canna di palude (canna vera), che serviva come uno sfiatatoio. La Pazientina è il dessert con cui terminare il pasto, lo si trova in tutte le pasticcerie della città, ogni maitre patissier utilizza particolari qualche piccola variante. Si parte da una pasta bresciana, che è una frolla di mandorle, un pan di spagna morbido. La farcia è formata dallo zabaione mentre sulla superficie viene guarnito da scaglie di cioccolato fondente. «La cucina racconta chi siamo — aggiunge Dal Bello — riscopre le nostre radici e si evolve con noi, ci rappresenta al di là dei confini. In questi tre piatti c’è l’essenza dell’anima agricola ma anche innovativa di Padova». Oltre ai piatti citati, in casa le nostre mamme e le noanche stre nonne si sporcavano con la farina per preparare la pasta fresca, tradizione che ritroviamo in moltissimi ristoranti e trattorie. Tra i formati di pasta più apprezzati e richiesti ci sono i bigoli, particolarmente buoni se sono stati fatti utilizzando il torchio. Il condimento naturale è quello con il ragù di corte, anche se molti lo propongono con le sarde, una variazione di mare rispetto a una città rimasta storicamente più vicina ai piatti di terra.

L’Accademia della cucina a Padova ha anche una delegazione dei Colli Euganei-Basso Padovano, fondata dal compianto Pietro Fracanzani, che nel 1961 aveva fatto nascere la delegazione cittadina. A capo della più giovane Accademia c’è l’avvocata e professoressa universitario Susanna Tagliapietra. «Attorno al capoluogo, ci sono molti prodotti di primissima qualità che i cuochi oggi interpretano con le proprie ricette. Basti pensare all’asparago di Pernumia, che si estende anche a Maserà. Sappiamo che sono stati i Romani a portarlo nella pianura padana, mentre nell’800 era un elemento presente nelle ricette proposte nei conventi. La caratteristica principale è che è poco fibroso, sia nella varietà bianca che verde».

I Colli Euganei sono famosi per il buon vino, a cominciare dal Serprino, che nasce da un vitigno autoctono riconducibile alla Glera, l’uva alla base del Prosecco. Molto tipico è il Carmenere, presente sui colli dalla metà dell’Ottocento. «I particolari microclimi dei vulcani euganei e il terreno vulcanico favoriscono una grande struttura dei vini rossi, per cui tutti i vini e i prodotti dei colli sono influenzati dalla natura vulcanica del terreno». La storia della viticoltura nei Colli Euganei è raccontata dal Museo del vino, che è ospitato nella sede del Consorzio Vini Colli Euganei. Suggestioni vulcaniche di esplosioni sottomarine introducono la genesi dei Colli Euganei, mentre lungo il percorso museale si incontrano i popoli che hanno abitato queste terre, e che hanno contribuito all’introduzione e alla diffusione della vite. Vengono, infine, svelati quali vitigni sono giunti fin qui alle porte di Padova. L’area dei Colli Euganei di origine vulcanica è ricca di minerali ed è perciò favorevole alla coltivazione dell’olio d’oliva. Il primo frantoio fu fondato nel Settecento dai dogi Contarini nella Villa Contarini. L’olio dei Colli euganei è una Dop, ricavato da olive Rasara (al 50 per cento), Leccino, Frantoio, Marzemina.

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